Quando varcai per la prima volta il cancello delle Fosse Ardeatine, lo feci camminando in punta di
piedi, e attraversando quella barriera metallica capii immediatamente che stavo
entrando in un luogo sacro dove il tempo e lo spazio avevano perso molte, se
non tutte, delle loro certezze.
Mi sorpresi a
calpestare quel suolo con il massimo rispetto e con la maggior leggerezza
possibile, in preda al timore che i miei passi incerti potessero in qualche
modo oltraggiare o violare l'intimità di qualcosa, o di qualcuno. Lo sguardo
volava perso intorno a me, e quello che vedevo mi dava l'impressione di
trovarmi nel centro preciso di una dimensione parallela ancora sconosciuta:
provavo a mettere a fuoco ogni particolare della zona antistante alle fosse, osservavo
le lapidi commemorative cercando di leggerne i caratteri sbiaditi dal tempo e
dal dolore, realizzai che stavo vivendo una violenta emozione che molto
probabilmente mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Ci ritorno quando
posso,
come oggi, soprattutto quando ne ho bisogno.
La prima cosa che ti
colpisce di questo luogo è il silenzio, l'assoluta mancanza di
suoni e di rumori, o almeno quella è la sensazione che provi: non percepisci il
vociare dei visitatori che affollano lo spiazzo che domina l'ingresso e non ti
arrivano nemmeno i suoni scomposti delle scolaresche, chiunque si trovi lì resta
in uno stato di quiete e di compostezza.
Entro.
Accedo alla prima
galleria e mi fermo appena mi rendo conto che sto percorrendo esattamente lo
stesso tragitto fatto dai condannati, allora mi blocco: non riesco a
proseguire, non posso, mi sembra di vederli e di sentirne lo strazio e la
disperazione e quindi no, non posso andare avanti. Anche adesso mentre scrivo
sento mancarmi il respiro. Dalla prima visita, da quel momento preciso, ogni
volta che provo a pensare al dolore come se fosse un'immagine, oppure quando
tento di dare una "forma" alla sofferenza, ritorno in quel luogo e a
quell'istante: se provassi a rappresentare la disperazione su un foglio di
carta disegnerei esattamente, se ne fossi capace, proprio quel luogo e quel momento.
Potrei fermarmi e
tornare sui miei passi, potrei ma non lo faccio, mi sentirei un vigliacco. E
allora vado avanti. Percorro la breve galleria che mi porterà là dove avvenne
l'eccidio, e man mano che mi avvicino a quel luogo lo stato d'animo muta: lo
sgomento iniziale lentamente si dissolve, mi sento molto meglio, l'angoscia che
mi opprimeva si sta ora trasformando in energia positiva. Mi guardo intorno,
non c'è nessuno, ma capisco di non essere solo, o almeno lo percepisco. Ancora
pochi passi e capisco:
ci sono Gastone, 19
anni e Nando, 22 anni, studenti partigiani che sognavano la Libertà, ci sono
Leonardo, meccanico, ed Egidio, operaio di 44 anni, che parlano con Giovanni,
contadino, una vita di sudore e di fatica, mani consumate dal lavoro e salari
troppo bassi per sopravvivere. Poco più dietro sta arrivando Gaetano,
Carabiniere di 25 anni, tradito da uno Stato vigliacco e assassino, vicino a
lui c'è Bruno, di professione stagnaro, come diciamo a Roma, che lo guarda con
quel pizzico di timore reverenziale che i popolani provano, istintivamente e a prescindere,
nei confronti di "quelli in divisa". Non temere Bruno, quella divisa, stavolta, è
dalla tua parte.
Vorrei potervi
abbracciare tutti, e a tutti voi vorrei chiedere scusa perché non riesco a
farlo, vorrei chiedervi scusa per la mia impotenza, scusa per la mia
insignificante minuscola presenza tra voi giganti, scusa PER NON essere
riuscito a fare ABBASTANZA affinché certi mostri non tornino più a infestare le
nostre e le vostre vite.
Ormai è giunto il
momento di andare, e inconsapevolmente, quasi senza accorgermene, sono già quasi
uscito dalla grotta. Appena fuori, istintivamente, alzo lo sguardo verso
quell'apertura nella volta rocciosa che i nazifascisti fecero saltare per
coprire quella vergogna e nascondere al mondo il loro abominio, e penso: non ci
siete riusciti luridi bastardi, volevate seppellire la vostra infamia ma avete
seppellito soltanto la vostra appartenenza al genere umano, siate maledetti voi
e siano maledette tutte quelle persone che ancora ispirano i propri pensieri
alla vostra follia criminale.
Ancora pochi passi, varco
la pesante cancellata che custodisce quel luogo sacro, e ritorno al presente, a
quella via Ardeatina tornata ad essere una semplice strada trafficata da
percorrere stancamente per andare chissà dove...
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